La base del vulcano si sviluppa a partire da 1500 m. sotto il livello del mare per raggiungere i 675 del Monte Filo dell’Arpa. L’isola è la più occidentale delle Eolie, la prima che le imbarcazioni provenienti da Palermo o da Ustica incontrano. Per questo, anche se aspra e isolata e nonostante la totale mancanza di insenature e ripari per ormeggiare, è stata un punto di riferimento per i navigatori dell’antichità.
Abitata sin dalla preistoria ed in età ellenistica, conserva qualche memoria del passato nei resti di un insediamento della prima età del bronzo, XVI e XVII a.C., che si estendeva vicino allo scoglio di Palumba. Sulla costa orientale dell’isola si trovano sparsi frammenti ceramici di età romana, forse resti di qualche naufragio. Alicudi, come le altre isole, ha subito secoli d’incursioni piratesche con razzie sia di quel poco che i poveri abitanti avevano sia delle stesse persone vendute come schiavi. Il terrore di queste “visite” portò gli abitanti alla fuga e rese Alicudi quasi disabitata per tutto il medioevo, sino al 1600. A testimonianza di queste tragedie rimane Il timpune delle femmine, nome dato ad una zona scoscesa, difficilmente raggiungibile, dove si nascondevano le donne e i bambini durante le incursioni di predoni e corsari. Il ripopolamento, posteriore al 1600, ha portato nell’isola un numero molto esiguo di patronimici cosicchè, a causa di matrimoni tra parenti, è diventato molto difficile distinguere l’appartenenza di ciascuno al proprio gruppo originario. E da ciò il ricorso alle cosiddette ingiurie, soprannomi che permettono l’identificazione delle singole famiglie nella moltitudine di “Taranto”, “Russo” e pochi altri: cognomi della famiglia dei “cavaddi” (cavalli, per l’altezza di uno degli antenati), dei “mustazzoni” (dai baffi di un bisnonno), dei “iatti” (i gatti), dei “friscaleddu” (il fischiatore) sono alcuni dei nomignoli che mettono una nota colorata e allegra nel parlare locale. La popolazione, che attualmente non raggiunge le 150 anime, superava i 1200 abitanti all’inizio del secolo, prima delle grandi emigrazioni verso l’America e l’Australia. Sfruttava intensamente il suolo, riuscendo addirittura ad esportare parte della produzione di olio e di capperi. Un’opera impressionante di terrazzamenti con muri a secco e una rete stradale di mulattiere a scalinate testimoniano, tuttora, l’attività e l’organizzazione di questa comunità essenzialmente contadina, i cui insediamenti principali erano siti in montagna, nelle vicinanze delle zone coltivate.
L’agricoltura era legata alla mancanza di sorgenti. Il problema dell’acqua, esclusivamente piovana, era stato risolto grazie ad un sistema molto elaborato di raccolta delle acque e di cisterne: ogni casa ha ancora la propria, spesso anche più di una. Se ne possono trovare alcune, dislocate nei campi, che erano alimentate dai pochi torrenti che si formano durante le piogge. Gli abitanti, detti arcudari, sono noti per la loro forza fisica, “colossi” gentili dediti alla pesca e all’agricoltura che oggi hanno un po’ tralasciata, come mostrano i terrazzamenti incolti invasi dalla macchia mediterranea, per dedicarsi ai turisti che sempre più numerosi scelgono questo luogo da eremiti.
Edizioni Avvenire 2000
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L’antico nome di Alicudi è Ericusa, dalla presenza sull’isola dell’erica, pianta che abbonda ancora sulle pendici e nelle valli inaccessibili del cono vulcanico oggi spento